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Scherzi di vento a Rignano Garganico: IL DRAGONE
E’una leggenda popolare assai diffusa in tutto il Gargano, eccone una versione
Ecco la storia del dragone (‘ndravone)* che si nascondeva in una impenetrabile "macchia" (bosco ceduo di querceti e lecceti). A raccontarla, non si sa per quante volte, ci pensa Tatone, il nonno.
Nella sua casetta di campagna, è seduto assieme ai nipoti davanti al focolare ove perennemente arde il solito ceppo ben stagionato di quercia, talvolta di ciliegio e più raramente di ulivo. Tra questi vi è anche il futuro "don" che in quel momento sta gustando assieme ai cugini una fetta di pane raffermo condita con un filo d’olio e poco sale. A quei tempi, tempi di dura crisi bellica e postbellica, si risparmia su tutto. Il nonno comincia:
"C’era una volta in paese un contadino di nome "Mechelucce". Abitava assieme alla moglie "Catarinèlle" in un pian terreno al quartiere "Grotta". Non avevano figli. Il monolocale però, oltre ai due coniugi, ospitava una giovane somara di nome Peppinèlle, a cui Mechelucce e Catarrinèlle erano molto affezionati. Era il regalo di nozze del padre di lei. Le volevano molto bene perché il marito si lasciava portare in groppa al lavoro nei campi; mentre la moglie la utilizzava nei giorni di festa per spostarsi in paese e in campagna quando decideva di far visita a questa o quella famiglia di parenti ed amici."Mechelucce" era un brav’uomo ed infaticabile lavoratore di zappa. Il suo unico difetto era l’eccessiva credulità. Bastava che qualcuno gli dicesse: "Vole lu ciucce!" e lui ci credeva per davvero. Una mattina di prima estate, l’uomo si svegliò ben presto e disse alla moglie: "Oggi vado a Centopozzi a spietrare la terra". Si trattava di un appezzamento di poche are, costituito dal fondo di una piccola dolina, contornata da una selva di querce e di lecci inframmezzata da affioramenti rocciosi e pietre di riporto. La donna si alzò e aiutò l’uomo a mettere il basto all’asina; ad appendere una bisaccia col necessario approvvigionamento, tra cui un barilotto semipieno d’acqua appena attinta dalla cisterna. Allora, quasi tutti gli abitanti avevano una riserva di acqua piovana in casa. Quindi, il contadino portò fuori l’asino e, dopo averlo fatto accostare ad un pianerottolo, salì in groppa e si avviò verso la via di "fuso" (attuale strada provinciale per San Marco in Lamis). Ad un certo punto, deviò su un conosciuto sentiero e in poco tempo giunse a destinazione. Qui dapprima scaricò la bisaccia con le provviste alimentari (pane e cipolla), poi gli attrezzi da lavoro (zappa, badile e piccone), poi l’indispensabile barilotto che sistemò sotto un fronzuto ed impenetrabile leccio al fine di trovare ancora fresco il suo contenuto al momento della bisogna. Quindi, tolse il basto e lasciò libero l’animale, mentre egli si mise subito al lavoro. In giro si avvertiva un frastornante monotono concerto di grilli e di cicale, il cinguettio di passeri e di canarini, l’abbaiare lontano di qualche cane da caccia o di pastori, il fruscio di lucertole impaurite in cerca di sole, il verso stridente delle gazze ed altri rumori più o meno percettibili.
E’ la natura dei luoghi! L’atmosfera bucolica durò poco. Ad un tratto la terra sembrò tremare, lo stormire delle foglie si fece più intenso. L’aria si rese inquieta. Cominciò a spirare dapprima una leggera brezza, poi il vento. Tutto si confuse e il concerto da melodico si trasformò in una vera e propria baraonda. In mezzo a tanto frastuono si udiva un rumore cadenzato e alternato: "Ping, pong! Puffhete, pufftete! Bla bla!" e via discorrendo. Tanto fu avvertito anche da Mechelucce. L’uomo si fermò, tese l’orecchio e risentì chiaro chiaro lo strano rumore proveniente dalle "macchie" vicine." Che sarà mai?" - s’interrogò. "C’è qualcuno?" - chiese con lo sguardo rivolto alle piante. Nessuno rispose, se non il bla bla e il ping pong di prima. La paura cominciò ad impossessarsi dell’uomo.
Da tempo si parlava in paese di draghi e dragoni che si aggiravano per le campagne, sputando fiamme in ogni dove. Anzi, taluni erano certi che gli ultimi incendi fossero stati causati da questo strano animale. Pare che anche le pecore mancanti al gregge di compar Nicola, fossero state ingoiate ad una ad una e forse tutte insieme dalla "mala bestia". Qualcuno diceva di essersi imbattuto nel dragone che era alto tre metri, aveva cinque teste e una coda lunga più di cinque metri. Ad un tratto l’uomo trasecolò ed esclamò ad alta voce: "Si, si è il Dragone!". Poi, incurante del basto, salì di corsa in groppa a Peppinèlle ed in un baleno raggiunse il paese per chiedere aiuto. Andò persino in municipio. Il Sindaco, dopo aver appreso la notizia, seduta stante radunò le guardie, fece chiamare il banditore Nunziuccio e lo mandò in giro per il paese a dare l’allarme: "Armateve d’accette e runce, currite currite: a Centepuzze ce sta lu "’ndravone inte la macchije!"*Si fecero avanti tanti volenterosi, armati sino ai denti di armi bianche e di forconi e in pochi attimi raggiunsero la piazza. Quindi, con a capo il sindaco Antonio e l’avanguardia di Mechelucce, il piccolo esercito uscì dal paese e si avviò impavido verso Centopozzi che venne raggiunto in poco più di un quarto di ora. Il vento continuava a spirare ad intermittenza. I rumori e le strane voci lamentate, a tratti, tornavano a farsi risentire.
Il primo cittadino, allora, fece disporre la strana armata a semicerchio e a doppia fila davanti al posto da dove giungevano i rumori. Comandò, quindi, alle due guardie di andare sul posto ad esplorare. Questi, preso coraggio, in sintonia d’azione piombarono in un attimo sulla macchia incriminata. Con sommo stupore notarono il barilotto che, privo di sostegno e mosso dal vento, continuava a dondolare or dall’una or dall’altra parte, facendo battere sul legno l’acqua contenuta al suo interno col medesimo ritmo. Era questo tipo di sciabordio a generare lo strano rumore. Le due guardie scoppiarono a ridere a crepapelle: "Mechelu’, Mechelu’, vieni a vedere! E’ il tuo barilotto a far rumore!" La comitiva, a questo punto, avvertendo con una certa amarezza di essere stata burlata non ad opera dell’uomo ma di un elemento cieco come il vento, fu costretta a ritornare in paese con le pive nel sacco". Da allora in poi in paese si raccomanda spesso a chi va: "Stai attento agli scherzi del vento!". * E’ nel libro: Don Leonardo Cella, dal paese al mondo salesiano, Roma, Maritato Group, 2012.
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