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Gargano il sacro promontorio

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/…/ hadriacas exit Garganus in undas /…/ “…emerge dalle onde dell’Adriatico il Gargano…”

cosi scrive Marco Anneo Lucano (39/65 dC).

L’embrione del Gargano, un isolotto solitario, fu concepito da madre-acque nel Cretaceo, si sviluppò nell’era Cenozoica integrando altri fratelli isolotti, subì un’intrusione vulcanica, che tra l’altro aveva favorito il sollevamento di sedimenti carbonatici dal fondale marino, ricordato dai toponimi Punta delle Pietre Nere e Valle Carbonara, per assumere finalmente l’imponente maturità, grazie alle fasi climatiche quaternarie. L’uomo vi apparve nel Paleolitico abitandovi le grotte disseminate nell’abbondante flora arricchita di sorgenti cui i sopravvissuti Bosco Isola e Bosco Quarto, e sovrastata da solenni foreste, copiose d’animali, quale la superstite Foresta umbra oggi di 2000 mq. L’invadenza vulcanica è ancora oggi comprovata dall’idronimo Caldoli, un corso d’acqua sgorgante da una sorgente calda.

Gargano, il pietroso promontorio adriatico, figurativamente lo Sperone d’Italia, starebbe per Macigno di Giano grazie al radicale GR sasso di tema mediterraneo, agionimo a perenne memoria di un’antica devozione per il dio Giano, in complanare con la tradizione dell’eponimo che lo vuole derivato dal mitologico gigante Gargan, verosimilmente per un’attività vulcanica, da associare idealmente a Polifemo-Etna.

Enucleato dai toponimi di genesi magnagreca quali Apenestae, Drion (accostamento con i Dori), Matinum (oggi Mattinata), Merinum (posto in relazione con la razza merino di pecore importate dai greci), Vestae (oggi Vieste, verosimilmente dal gr HESTIA focolare in connessione con l’antico radicale WES abitazione e focolare); l’agionimo di un secolare Giano garganico riaffiora, a comprovare il profondo radicamento dell’antica liturgia, dalla denominazione a Monte S. Angelo dell’erto quartiere Junno, questo esito di un’ipocoristica corruzione volgare di Pilunno o Pilumno, epiteto di un re-sacerdote assimilato a divinità, ossia Pilastro di Giano, il reggente della fede. Dal lat PILA, infatti, Pìla ha assunto il significato di “struttura portante” svoltosi in “mucchio d’oggetti in verticale” e figurativamente relativo a un agglomerato abitativo costruito verso l’alto, ossia lungo e sulla sommità di un rilievo.

Giano Riaffiora a San Marco in Lamis dall’idronimo Jana, l’ellittico di AQUA IANUARIA acqua gianuaria. Riaffiora dal più esplicito Pirgiano, questo col tema greco-latino PYR fuoco darebbe Fuoco di Giano nel senso del fuoco perenne sull’ara in suo onore, oppure col greco PIRGOS questo nel senso di agglomerato annesso alla dimora signorile fortificata, darebbe Castello di Giano; Pirgiano, allora, l’antico toponimo di S. Ioannis Rotundi (1095) poi S. Giovanni Rotondo così attestatosi dal precedente La Rotonda per la forma circolare del tempio qui dedicato al dio, quale allegoria architettonica del cerchio che rappresenta la pertinenza divina della visione omnidirezionale, come ben concepibile in questo nume bifronte. Riaffiorerebbe ripetutamente ancora a mo’ di suffisso, ma da accettare con cautela, in sovrapposizione quindi al diffuso suffisso ANO per nomi di luogo, dal toponimo Rignano, già segnato Locazione di Arignano nelle topografie della transumanza e che per la sua posizione da Balcone delle Puglie, poiché guarda dall’alto il Tavoliere, antiche attestazioni lo indicano in Castellum Riniani o Guardia Riniani. Riaffiorerebbe da Pulsano il cui territorio pullula di romitori e da Castel Pagano, anche qui dovizioso di romitori, questo già traducibile in PAGUS campo dedicato a Giano prima che, in era cristiana, questo termine si diffondesse nel significato di “idolatria” e proprio dal fatto che nelle campagne ancora si adoravano le antiche divinità. Riaffiorerebbe da Cagnano, dove esiste una grotta già sede di venerazione pagana e cristianizzata da una fugace apparizione dell’Arcangelo. Riaffiorerebbe, infine, dai toponimi Ruggiano, Stignano, dall’oronimo Monte Celano, dal limnonimo Varano… tutti a raccordare la tradizione di questo dio dalla vista pantotenica, protettore dei luoghi inaccessibili, dei cancelli, dei recinti, degli accessi, delle porte, metaforicamente delle proprietà e filosoficamente la rappresentazione dell’apertura mentale, delle conoscenze, e che vedeva fedelissimi osservanti i pastori a tutela delle loro greggi e gli ovili, questi in grotte, stazzi e ripari tra gli scoscesi camminamenti garganici.

Sarebbero stati, infatti, i pastori, nelle loro mene (transumanze), a importare, far conoscere e consolidare il culto per Giano, attraverso quei tratturi, i cui tracciati avrebbero poi facilitato la realizzazione della grandiosa rete viaria romana. Nella non lontana Trani, lungo la costa adriatica, si conserva una chiesa protoromanica denominata S. Maria di Giano con un’adiacente costruzione a cupola, rivestito di cosiddette chiancarelle, detto Tempio di Giano, in una parte di territorio dal toponimo LOCUS JANA o Casale di Giano a ricordo di attività coloniche e pastorizie in età romana.

Il mitico gigante Gargan sarebbe stato omologato, ai primi secoli d’era cristiana, nel ricco pastore Gargano al quale, in una grotta, sarebbe apparso, storicamente il 490, l’Arcangelo Michele, donde la conversione di un’intera regione dal paganesimo (culto gianuario) al cattolicesimo (culto micaelico). Un’evangelizzazione al tempo dei bizantini, con Zenone I imperatore e suo cugino (o almeno parente) Lorenzo Maiorano, futuro santo, vescovo di Siponto, la sottostante città marinara, oggi Manfredonia, e competente spirituale del territorio. Costantinopoli, dove è accertato sia nata la dulìa per l’Arcangelo, avrebbe spedito a Monte S. Angelo una maestosa statua votiva, ma la nave che la trasportava fece naufragio nel golfo di Manfredonia; le storie raccontano che furono i pescatori di Barletta, nel 1491, a ripescarla e, da allora, è esposta nel centro storico di questa cittadina, indicata con Il gigante di Barletta.

Da Costantinopoli giunsero, donate dal mercante amalfitano Pantaleone, le Porte di bronzo fuse nel 1076, arricchite di formelle che riportano scene del Vecchio e Nuovo Testamento, ognuna con una propria didascalia, ancora oggi ben salde all’ingresso della Spelonca. Un’evangelizzazione non certo facile da Giano a S. Michele se, a titolo di paragone, s’immagini la resistenza del popolo partenopeo all’abolizione del culto per S. Gennaro a favore di un altro imposto in un’ipotetica, nuova era.

(A cura dello storico critico Ferruccio Gemmellaro)

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