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Carpino Folk Festival: viaggio slow sul treno delle ferrovie del Gargano

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Scendo dall'Intercity e mi intrufolo in un trenino dipinto con i colori del Gargano, Peschici, falesie, mare… Quasi potrebbe sembrare la solita cartolina turistica enfatizzata nei contrasti dei colori, ma io so che il Gargano è quello.

Sembra di essere tornati nel passato, il treno parte, trema tutto… stiamo per decollare? Sì, il “Monte Gargano” con la sua mole massiccia si avvicina, i binari iniziano a salire, il treno si inerpica, si sale! Leggo da qualche parte “San Marco in Lamis, San Nicandro, San Giovanni Rotondo, Monte Sant'Angelo...” ... Tutti questi santi... Subito capisco che questa è una terra benedetta, toccata da Dio e dal suo Arcangelo Michele il cui ricordo giace nelle grotte, nelle valli, nei boschi e nei monti che riportano il nome di Mikael. Scorgo paesaggi carsici, il Gargano contiene ancora molti segreti sotto terra.

Sento ritmi familiari, tamburelli e corde di chitarra battente pizzicate. Come un segugio mi alzo e “vado a caccia”. Scopro che sono nel mezzo di uno spettacolo, “Cantar viaggiando, una valigia di ricordi”, un viaggio slow intorno al tema dell'emigrazione, e questo non è un treno normale ma il treno che Ferrovie del Gargano ha messo a disposizione del Carpino Folk Festival, una manifestazione “glocale”, partita quasi venti anni fa dalla mente di Rocco Draicchio e consegnata poi nelle mani di alcuni giovani carpinesi che con orgoglio e vivacità hanno fatto sentire la loro voce prima in Puglia, poi in Italia. Ora la tarantella del Gargano è cantata in tutto il mondo, obiettivo riuscito?

Il biglietto costa 1€ e ti accompagna verso dimensioni che non immagini. Prendo un piatto di fave bagnate da abbondante olio d'oliva, mi dicono che tutto è rigorosamente “made in Carpino”, questa terra fa miracoli, sono in paradiso... Ed io che non ci credevo quasi più! Di tanto in tanto mi ricordo di essere su un treno. All'improvviso il paesaggio si apre, come un tendone che copre la scena in un teatro, e vedo uno specchio d'acqua, è il Varano, poi una pianura di fitti ulivi che sembra non finire mai... Carpino!

Eccomi a Carpino. Sono arrivato, sono qui per sentire le mie origini, per ascoltare, e forse, capirle, capire chi erano i miei avi, come vivevano; e lo ascolto nelle parole di Matteo Scanzuso, Antonio Piccininno, Mike Maccarone. Nei loro canti è concentrata l'essenza del passato di una terra mai fortunata, una terra avara d'acqua e abbondante di sole.

Inizia a battere il ritmo, lo sento, gli vado incontro e sono in Piazza del Popolo. Ma la festa non è qui. Sento corde pizzicate, rimbombi di tamburelli, li seguo e arrivo nel centro storico dove scorgo un gruppetto di persone in cerchio… ma cosa fanno? Mi avvicino, è una visita guidata nei vicoli e vicoletti del paese, mi regalano una bellissima mappa con i nomi dei quartieri in dialetto, e c'è ancora altro ma non ho tempo di leggere ora: “lu vuccul”, la “lamj d P'lat”, “la Fica ner”… l'elenco non finisce mai, meno male che il paese è piccolo. Qui ogni angolo trasuda di storia, dai normanni fino ad oggi. Arriviamo all'epilogo della visita, il castello, la torre circolare…

Tra questi vicoletti avevo perso il senso dell'orientamento, la mia bussola fisiologica era impazzita, credevo quasi di essere dall'altra parte dell'Adriatico tanto la differenza delle architetture è sottile.

Torniamo dove si canta e si balla, accompagniamo il vecchio cantore 96enne con una “chitarra battente”, un tamburello e un paio di nacchere, canti d'amore che narrano la vita quotidiana di un tempo. Gli occhi di Antonio Piccininno raccontano tanto, lucidi, raccontano quelle infinite camminate con le pecore dell'infanzia. Il suono di quella “speciale chitarra” sembra essere quasi nato in quelle vie tanto è l'atmosfera armoniosa, ma al tempo stesso scatenata, nei piedi nudi delle ragazze che li battono, e ancora li battono a terra.

Solo attenzione, ascolto, divertimento interessato... E’ cultura pura, è spirito giovanile sincero, è passione... quella vera.

Non ci si stanca mai a Carpino, la notte è infinita, la voce e l'energia per ballare e cantare anche. E poi il vino non manca mai: come succedeva nel rito per esorcizzare la tarantata, lo si porta a cantori e suonatori, non deve mancare mai, così come il pane e quelle miracolose e benedette fave.

Quando si creano quei cerchi di suono, canto e danza, la gente vi si accalca intorno e si fa come a gara di chi riesce a mettere l'orecchio più vicino come per catturare qualcosa... ma cosa? C'è una qualche essenza che ancora non scopro sotto questo lampione dalla luce fioca al suono ritmato del tamburello. L'aria ti prende, ti coinvolge e poi ti sconvolge in quella danza sempre uguale ma sempre diversa, ogni passo ha un significato diverso, occhi che non si conoscono si incrociano, c'è intesa. La danza parla e le persone si riconoscono senza aprir bocca... “Sogno o son desto?”… Son desto, ma cosa volete?

Questa è la terra dei santi, qui tutto può succedere. Saluto Carpino mentre riprendo il treno per tornare nel caldo tavoliere illuminato dalla luna piena. “Sante Mechele mije, statte bbone”, ci vediamo l'anno prossimo!

Domenico Sergio Antonacci

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